ODESSA LA NAPOLETANA Una città cara

di Vittorio Russo

Quando, per la prima volta, ho visitato Odessa, da navigante durante uno scalo, mi colpì nelle vicinanze del porto il busto in bronzo di un tale José de Ribas. Mi chiesi a lungo chi fosse stato mai questo evidente “spagnolo” al quale si dedicava un monumento. Fu solo in seguito che dell’uomo lessi la vita e l’opera, e, con mio stupore, appresi che si trattava di… un italiano.

Per dire meglio, di un napoletano di origine spagnola, che era stato il fondatore della città e del porto di Odessa! Sì, avete letto bene! Un napoletano fu il fondatore di Odessa.

Si chiamava Don Peppino (José) de Ribas ed era nato a Napoli intorno alla metà dal 1700. Suo padre, console spagnolo, qui visse a lungo. E qui nacquero e furono educati i suoi figli, qui furono nutriti dalla sua antica cultura greca e dal suo clima voluttuoso. Giuseppe si distinse presto per ingegno e per una singolare propensione all’apprendimento delle lingue. Ne apprese presto almeno una dozzina e in sei o sette di esse scriveva e si esprimeva fluentemente.

Aveva forse una quindicina di anni quando, grazie ai buoni uffici del genitore, ma soprattutto alla sua dirompente vitalità, entrò nell’esercito napoletano distinguendosi per meriti con una carriera rapidissima. Non aveva vent’anni ed era già un apprezzato maggiore, molto stimato nei circoli aristocratici per arguzia garbatissima e intelligenza. Si legò al fratello del conte Orlov (quest’ultimo merita un racconto a parte), potentissimo amante della zarina Caterina la Grande di Russia.

Con amicizie di questo tenore e tanta personalità, il resto venne da sé. Don Peppino si fece notare subito in Russia dove si era trasferito. Si distinse presto i per valore e virtù militari nei vari conflitti russo-turchi che nel 1700 e nel secolo successivo fecero parte della quotidianità della vita sul Mar Nero.

Dopo aver partecipato alla conquista della Crimea, il nostro Don Peppino vi avviò la costruzione della base navale di Sebastopoli. Non passò sotto silenzio nemmeno la sua folgorante conquista di un villaggio ottomano che, per la posizione strategica, in seguito diventerà la città di Odessa. Ancora più clamore suscitò l’impensabile conquista di una fortezza turca considerata inespugnabile.

La zarina era affascinata da questo brillante conquistatore mediterraneo. Lo nominò ammiraglio e lo volle a capo della flotta del Mar Nero. Fu verso la fine del 1700, poco meno che cinquantenne, e pochi anni prima della sua morte precoce e misteriosa, che De Ribas fu autorizzato dalla zarina a fare del piccolo villaggio turco precedentemente conquistato il porto commerciale più importante del Mar Nero.

Fu così che nacque la città di Odessa, destinata di lì a poco a diventare per tutto il secolo XIX centro di scambi marittimi internazionali.

Il nome che Don Peppino volle dare alla città fu Odesso. Era un colto e vago richiamo a Odisseo-Ulisse, che anche questi mari aveva solcato, o forse in memoria di un’antica colonia greca fondata intorno al III sec. a.C. da queste parti dai greci.

Odesso però suonava duro e ostico alle raffinate orecchie della zarina che voleva per la città un nome aulico sì, ma sonoro e sognante. Il nostro ammiraglio coniò allora quello di Odessia, capace di grande evocazione e dell’immortale mito di Odisseo-Ulisse. In seguito Odessia diventò Odessa di più agevole pronunzia in tutte le lingue.

Di questa città Don Peppino de Ribas fu il primo amato amministratore.

Crebbe, la città e corse verso il futuro con passo di titano, con un dinamismo inimmaginato. Divenne porto franco di scambi commerciali e principale nodo di esportazione di grano duro, di cui Russia e Ucraina sono sempre stati grandi produttori.

Fu per lunghi decenni lo scalo regolare di navi da carico italiane che qui imbarcavano frumento diretto verso Napoli e i porti del meridione d’Italia. La colonia degli italiani di Odessa divenne una fra le più numerose e apprezzate. Era composta in prevalenza da genovesi e napoletani, commercianti e marinai. Garibaldi, giovane capitano di mare, frequentava il porto di Odessa e gli altri del Mar Nero con regolarità. Un suo zio era stato console proprio a Odessa.

Ma gli italiani fuori casa, si sa, spaziano sempre in orizzonti vastissimi di genialità, abilità e fortuna. A Odessa si distinsero in tutte le arti e in quella che da maggiore antichità li distingue: l’architettura. Tutte le opere architettoniche di Odessa parlano italiano, il suo Centro Storico, i palazzi nobiliari, i luoghi d’arte, le vie più belle, la scalinata monumentale Pot’omkin. Tutte fanno di questa città un museo a cielo aperto e l’espressione più elevata della genialità italiana. Le sta a fronte solo un’altra città-museo di Russia: l’italiana San Pietroburgo.

Odessa era considerata (e forse ancora lo è) la Napoli del Mar Nero. Non perché era stata fondata da un napoletano, ma perché, leggendaria come Napoli, è vezzeggiata dalla stessa atmosfera vivace e cullata da un’aria dolce di sole e di vitalità tutta mediterranea. Il napoletano era il dialetto degli equipaggi delle navi che la frequentavano. Napoletani furono pure alcuni suoi architetti molto celebrati. Ma non era una novità: napoletano era anche Carlo Rossi, architetto a San Pietroburgo, che i russi conoscono meglio come Karl Ivanovic Rossi. Erano napoletani gli architetti che disegnarono Odessa seguendo i canoni classici dell’Ottocento. Si chiamavano Francesco e Giovanni Frapolli. A essi si devono capolavori come il Campanile della Cattedrale e larga parte del progetto del Teatro dell’Opera.

Mi piace ricordare, come nota briosa di chiusura, che proprio Odessa ispirò a un incantato Eduardo Di Capua “‘O sole mio” che di lì a poco si canterà in ogni angolo del Pianeta e, in seguito, anche in giro per la Galassia, al sorgere del sole dal buio dello spazio senza tempo. Come la canzone.

Alla luce di quello che ho scritto, si capisce quanto io senta in petto farsi piccolo come un cappero, il cuore che vuole conservare memoria di tanta storia. E quanto cresca in me la ripugnanza per un essere dallo sguardo muto che smembra popoli, ne cancella le esistenze, ne disperda le radici, la storia e la cultura!

Come non esprimere disprezzo per chi distrugge vite e riduce in polvere espressioni d’arte che sono il segnalibro della civiltà!

vr – 25.03.22

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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