VI^ DOMENICA DOPO PASQUA COMMENTO DI DON FRANCO GALEONE

17 aprile 2016 – IV Domenica dopo Pasqua (C)
Il regno di Dio è più grande di ogni chiesa
“Commento di don Franco Galeone”
(francescogaleone@libero.it)
* La domenica del buon pastore, anzi, del bel pastore. Noi siamo conosciuti da Cristo, buon Pastore: è l’annuncio di questa liturgia domenicale. Non siamo un gregge anonimo, in balia di un padrone, ma pecorelle predilette, conosciute da Dio, una ad una, per nome. L’uomo di oggi si sente misconosciuto come persona; numero tra numeri; ha la netta sensazione di essere in balia di forze oscure ma potenti, che lo manipolano fino a svuotarlo della libertà. A noi l’immagine del Buon Pastore forse può apparire poco espressiva, anzi, urtante. Noi, paragonati a pecore! Oggi, nel linguaggio corrente, viene chiamato pecora chi è sospettato di conformismo o di viltà, e si usa la parola gregge per indicare la massa che si adegua alle mode. I testi biblici invece, seguendo l’antica civiltà pastorale, usano le parole pastore, pecora, gregge … con un significato affettuoso, umanissimo: l’agnello è il simbolo del sacrificio; la pecora: della mansuetudine; il pastore: della protezione; il gregge: della coesione. Si tratta di immagini sempre vive, perché ricordano all’uomo di oggi, di sempre, la premura che Dio ha per lui.
* Per comprendere meglio l’immagine del pastore, dobbiamo fare riferimento alla vita palestinese del tempo di Gesù: l’ovile era un grande recinto; alla sera, i diversi pastori conducevano le pecore all’ovile, ove si mescolavano a quelle di altri pastori, i quali durante la notte vegliavano contro lupi e ladri. Al mattino, una scena allegra: ogni pastore entrava nel recinto, chiamava le sue pecore, che riconoscevano il timbro di voce, e lo seguivano. Notate: l’immagine del pastore evoca anche l’idea della vita come viaggio. Siamo in cammino: Le malattie, i disagi, i dolori … sono mali d’esilio, sono avvisi di lontananza, diceva Léon Bloy. Siamo tutti visitatori di questo tempo e di questo luogo. Siamo solo di passaggio. Il nostro scopo qui è osservare, crescere, amare … e poi farcene ritorno a casa (Proverbio aborigeno australiano).
* È un fatto: le religioni che si organizzano da più di 5000 anni, sono sempre state sistemi di ranghi, che implicano dipendenza, sottomissione e subordinazione a divinità invisibili e ai loro rappresentanti visibili. Ecco perché i superiori religiosi assumono titoli, poteri e vestiti che presentano Dio come Potere e Dominazione. La conclusione: una persona religiosa è una persona sottomessa, fin negli ambiti più intimi della sua vita. Ma questo ha voluto Gesù? Il modello di relazione, presentato dal Vangelo di questa domenica, va per un’altra strada. Questa relazione si definisce con tre verbi: ascoltare (akoùo), conoscere (ghighnósko) e seguire (akoluthéó). Tutto ciò suppone la soppressione in radice della relazione governante-governato, superiore-suddito. Non si tratta più di una relazione di potere alla quale corrisponde una relazione di sottomissione. Nei secoli passati l’obbedienza ha soppiantato la sequela, la chiesa docente, il clero, il magistero … si sono presentati come infallibili e perciò da accettare pena le pene temporali ed eterne. Noi cristiani obbediamo ai preti, ma forse non seguiamo Gesù. Obbedire è sottomettersi a un altro. Seguire è vivere con un altro.
* La nostra fede ci obbliga a metterci in atteggiamento di autocritica (in termini laici) o di conversione (in termini religiosi), perché la Parola di Dio non sia trasformata nelle chiacchiere sterili dell’uomo. Dobbiamo ricordare sempre che la salvezza di cui siamo portatori viene da Dio e non da noi. Con pudore e rispetto verso tutti! Ci fu un tempo (nel passato remoto ma anche prossimo a noi), in cui essere maestri di fede significava avere risposte per tutti, fedeli e infedeli. Ma le nostre risposte sono costruite sui nostri dubbi. E mi spiego. Gli unici dubbi che noi accogliamo sono quelli di cui conosciamo in anticipo la risposta. Come il professore che a scuola è in pace con gli alunni quando essi fanno domande cui egli sa rispondere. Ma se per caso gli alunni pongono domande di cui egli non conosce le risposte, va in crisi e reagisce male. Siamo tutti inquieti, perché la nostra vecchia saggezza non basta più. Arrivano ora all’improvviso a noi, sicuri nel recinto delle nostre verità, persone che ci pongono domande alle quali noi non sappiamo rispondere. Di qui l’ostilità o il pessimismo di tanti maestri che accusano non se stessi di ignoranza, ma gli altri di libertinaggio. Sarebbe certo meglio interrogarci se per caso noi non siamo rimasti, con tutto il nostro universalismo dichiarato, prigionieri delle nostre povere teologie, del nostro isolotto culturale.
* Ci comportiamo come i nostri fratelli ebrei (prima lettura). Quando essi ascoltano l’annuncio che la salvezza è per tutti, essi si irritano, sobillano le donne e i potenti della città per cacciare Paolo e Barnaba. Perché tanta ostilità? Essi erano persone molto religiose, e presumevano di conoscere tutti gli itinerari della fede; togliere loro questo privilegio era farle scendere dal loro piedistallo. Ma la Parola di Dio si esprime in mille forme, proprio come nel giorno di Pentecoste. Noi, dopo tanti secoli, abbiamo solidificato la Parola di Dio in una sola lingua, in un solo rito, in una sola teologia, in un solo diritto canonico. Fino a 50 anni fa c’era una sola lingua sacra e cattolica: il latino, l’unica lingua che il buon Dio conosceva bene! Presunzione e ingenuità, come gli antichi greci, per i quali gli dei dell’Olimpo non potevano parlare che il greco (!). Pensate alle tante formule teologiche elaborate nei nostri pensatoi occidentali, ed esportate dappertutto, e da accettare da tutti, pena la scomunica.
* Quello che ci deve stare a cuore è che ognuno cerchi la verità con sincerità. Perciò il nostro atteggiamento dev’essere rispettoso, nella convinzione che tutti hanno qualcosa da insegnare, una parola da comunicare. Ci sono Parole di Dio seminate e da ascoltare, Parole non ancora accolte nella tradizione cristiana; sono quei frammenti del Logos, della Parola, che possono illuminare anche la nostra Verità. Credere di sapere tutto è presunzione. Noi siamo all’interno di un gregge, il cui pastore è Dio, che guida tutti i suoi figli. Non siamo noi le guide! Noi siamo parte di questo gregge. Dobbiamo essere un punto di riferimento, una presenza mite! Ha detto il Signore: Quando avete fatto tutto, dite: Siamo servi inutili. Prese sul serio, queste parole aprono prospettive nuove. Intanto ci liberano dalla presunzione di crederci necessari. Mettono fine a tante nostre paure. Se gli africani, gli asiatici, i sudamericani … respingono la paterna protezione dell’Europa cristiana, noi cominciamo a tremare … ma è Dio che libera. Dovremmo essere felici che tutti i popoli si riprendano la loro dignità di uomini e di credenti. In piedi! Occorre rimetterci in discussione con tutte le nostre biblioteche teologiche; se per caso i tutori dell’ordine ci perseguiteranno, anche noi, come Paolo e Barnaba scuoteremo la polvere dai nostri calzari, perché il regno di Dio è più grande di ogni chiesa. Buona vita!

La Parrocchia “Buon Pastore” il Gruppo Biblico “Le Sante Radici”

sono lieti di invitare la S.V. alla presentazione dei libri
di Maria Rosaria Fazio e don Franco Galeone:

UOMINI E DONNE DELLA BIBBIA: ieri per oggi tra miseria e grandezza

LE BELLE NOTIZIE DEL VANGELO: dalla eis-egesi alla ex-egesi

Introduce: DON ANTONELLO GIANNOTTI
Saluta: MONS. RAFFAELE NOGARO

Lettura brani: Maria Rosaria FAZIO e don Franco GALEONE

Relax musicale: M° Pasquale DE MARCO
Sabato 7 maggio 2016, ore 19.30
Salone San Giuseppe Moscati – Caserta

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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