SANTA MESSA DOMENICA 29 GENNAIO

LA PAROLA
29 gennaio 2017
Domenica
4.a Tempo Ordinario – IV
San Costanzo
Beati i poveri in spirito
Liturgia: Sof 2,3; 3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a

PREGHIERA DEL MATTINO
Dio Padre buono, voglio lodarti in questo mattino. Tu mi vedi. Tu mi conosci. Tu conosci le mie paure. Tu conosci le mie debolezze e i miei limiti. E tuttavia, tu mi consideri con grande simpatia e grande misericordia. Perché tu vedi la mia buona volontà e i miei tentativi di fare del bene.
Benedici la mia giornata. Concedimi pazienza nei confronti degli uomini, poiché tu sei paziente con me. Fammi partecipare sinceramente alla vita degli altri, poiché tu partecipi alla mia. Benedici la mia giornata.

ANTIFONA D’INGRESSO
Salvaci, Signore Dio nostro, e raccoglici da tutti i popoli, perché proclamiamo il tuo santo nome e ci gloriamo della tua lode.

COLLETTA
Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te…

PRIMA LETTURA (Sof 2,3; 3,12-13)
Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero.
Dal libro del profeta Sofonia
Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore. Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero».
Confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.
Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 145)
Beati i poveri in spirito.
Il Signore rimane fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Beati i poveri in spirito.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
Beati i poveri in spirito.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.
Beati i poveri in spirito.

SECONDA LETTURA (1Cor 1,26-31)
Dio ha scelto ciò che è debole per il mondo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.
Parola di Dio.

CANTO AL VANGELO (Mt 5,12a)
Alleluia, alleluia.
Rallegratevi ed esultate,
perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Alleluia.

VANGELO (Mt 5,1-12a)
Beati i poveri in spirito.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Parola del Signore.

OMELIA
Già il profeta Sofonìa aveva annunciato che il Signore, attraverso i poveri, che cercano giustizia ed umiltà, da loro nascerà una nuova umanità “un popolo umile e povero: “confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele”. Egli, il Signore, nelle sue scelte, con un popolo di poveri, di semplici, di umili e persino di emarginati, ma dal cuore aperto e sincero, rivoluzionerà il mondo intero e lo trasformerà in Gesù Cristo suo Figlio. Infatti oggi San Paolo ci scrive così: “non ci sono tra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio la ha scelto per ridurre a nulla le cose che sono perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio”. E Gesù, nel Vangelo, dalla santa montagna proclama: “Beati i poveri in spirito!” Sono i semplici, gli umili, gli ultimi: sono i ‘piccoli del Regno di Dio’, coloro che hanno il cuore da bambino. “Beati quelli che sono nel pianto perché saranno consolati”. La nostra sofferenza è redentiva e verrà in eterno consolata in paradiso. “Beati i miti!” Quant’è bella una persona mite e umile… rassomiglia proprio a Gesù Cristo e alla Madonna santissima! Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia!”. Ha vera sete di giustizia colui che ha vero desidero di una vita giusta, e cioè: ha davvero desiderio di vivere da giusto, da cristiano vero, sincero, autentico. “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia!” Davvero chi ha misericordia verso gli altri somiglia in tutto a Gesù Misericordioso. “Beati i puri di cuore perché saranno chiamati figli di Dio!”. E i puri di cuore sono anche coloro che non inquinano la loro fede semplice con certe false dottrine razionaliste o moderniste… “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio!”. La Madonna ci invita a diventare tutti portatori di pace, quella pace che regna nel suo Cuore di Mamma Immacolata. “Beati i perseguitati per la Giustizia!”. Sono coloro che vogliono restare fedeli alla fede cristiana, alla persona e alla dottrina di Gesù Cristo, e alla sua Santa Chiesa. “Vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei Cieli!”. (Padri Silvestrini)

PREGHIERA SULLE OFFERTE
Accogli con bontà, o Signore, questi doni che noi, tuo popolo santo, deponiamo sull’altare, e trasformali in sacramento di salvezza. Per Cristo nostro Signore.

ANTIFONA ALLA COMUNIONE
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati i miti, perché erediteranno la terra.

PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE
O Dio, che ci hai nutriti alla tua mensa, fa’ che per la forza di questo sacramento, sorgente inesauribile di salvezza, la vera fede si estenda sino ai confini della terra. Per Cristo nostro Signore.

MEDITAZIONE
Gesù ha proclamato le beatitudini proprio agli inizi del suo ministero apostolico. “Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna”: egli ha parlato quasi abbracciando con lo sguardo le folle di ogni tempo e di ogni luogo. Anche le beatitudini possono essere considerate sotto diversi punti di vista: come sono state vissute prima di Gesù dai profeti e dai sapienti di ogni tempo, come sono state vissute da Gesù e da Maria durante la loro vita terrena e come, infine, Gesù chiama ogni uomo a viverle, seguendolo, con l’aiuto dello Spirito Santo, per tutto il tempo restante della storia del mondo e della Chiesa.
Il “Discorso della montagna” è innanzi tutto una sorta di riassunto, di sintesi dello spirito dei profeti in ciò che esso ha di più profondo, di più intimo. Gesù in esso fa cogliere e mette in luce l’aspetto messianico dell’Antico Testamento, quanto era stato già annunciato dai profeti e dagli uomini ispirati da Dio, ma non era vissuto da loro se non in maniera parziale e transitoria, senza che costituisse ancora una vera spiritualità.
Il “Discorso della montagna” è, d’altra parte, il filo conduttore che Gesù dà all’insieme dei suoi discepoli, per permettere loro di percorrere e di comprendere tutta la sua vita, tutta la sua predicazione, e per scoprirne lo spirito. Ma anche i suoi più prossimi, gli apostoli, l’hanno compreso solo a metà o, addirittura, non l’hanno capito per nulla… Soltanto Maria ha vissuto pienamente con lui dello spirito delle beatitudini, perché era stata interamente investita dello Spirito Santo dal momento dell’Annunciazione.
E chi fra noi cristiani oserebbe dire di realizzare o anche solo di capire perfettamente il programma completo delle beatitudini? Noi tutti sentiamo di avere tanto bisogno di un maestro: non solo di un maestro che impartisce l’insegnamento delle beatitudini dall’alto della montagna, ma anche di un maestro dolce e umile, che scenda per viverle con noi nella valle di lacrime del quotidiano. Per la sua nascita nella povera grotta di Betlemme, per la sua vita nascosta di Nazaret, per tutte le umiliazioni della sua vita d’apostolo, Gesù è questo maestro dolce e umile: egli si è fatto l’amico compassionevole che condivide la vita dei poveri, le loro lacrime, le loro miserie, il loro essere respinti.
Il Figlio di Dio divenuto Figlio dell’uomo, avendo in sé la pienezza dello Spirito Santo, ha vissuto, nella sua esistenza concreta e individuale, le beatitudini in modo nuovo, con più imponenza, ma anche con più semplicità. Egli ha dato a ciascuna di esse una nuova nota di umiltà e di interiorità. Egli le ha rese più divine, perché ormai esse portano il sigillo del Dio d’amore, Padre, Figlio e Spirito Santo. Nello stesso tempo egli le ha rese anche più umane, perché egli le ha vissute innanzitutto come Figlio dell’uomo nelle sue relazioni con Maria, sua madre, in una vita nascosta e dolorosa. Ormai le beatitudini non hanno più la nota eroica di un profeta, che si stacca dalla sua famiglia e dal suo popolo per via dei prodigi e dei gesti straordinari; ma esse hanno acquisito la nota di dolcezza e di umiltà di una famiglia nuova: la Santa Famiglia e, con la vita apostolica, di una nuova fraternità. Le beatitudini sono la chiave preziosa, la filigrana quasi invisibile che ci permette di scoprire il segreto d’amore della vita di Gesù, di seguirlo nelle tappe così diverse della sua esistenza, di cogliere i legami nascosti che uniscono la vita del Salvatore, ancora bambino o adolescente, con Maria e Giuseppe, a quella che egli ha vissuto durante la sua vita pubblica con i suoi apostoli e i suoi discepoli, e che è terminata col mistero della sua passione e della croce.
È per mezzo del Rosario, cioè dell’insegnamento di Gesù e di Maria, che lo Spirito Santo ci fa entrare nello spirito delle beatitudini. Per essere vissute in tutta la loro profondità, universalità ed unità, le beatitudini devono trovare la loro origine e anche il loro compimento interiore nei misteri gaudiosi e dolorosi che Gesù ha vissuto con Maria. Le otto beatitudini sono nello stesso tempo vie spirituali, percorsi di fede e di speranza. Ma la loro fonte è unica: è “il Cuore di Gesù e di Maria”, secondo la bella espressione di san Giovanni Eudes. Perché Gesù e Maria hanno vissuto le beatitudini in ogni perfezione nell’unità di due cuori umani resi uno dallo Spirito Santo.
È questo mistero che siamo chiamati a vivere. Gesù ha dato le beatitudini alla sua Chiesa come carta spirituale. È l’itinerario indispensabile per giungere, fin da quaggiù, alla santità. È il nuovo cammino di fede e di speranza, ispirato, sostenuto e reso completo da un amore nuovo, lo Spirito Santo stesso.
Maria, a Lourdes, disse alla piccola Bernadette: “Non ti prometto di renderti felice in questo mondo, ma nell’altro”. Madre ed educatrice, Maria ci mostra le vie che conducono alla felicità del cielo: una felicità che, certo, può cominciare fin da quaggiù in una unione intima con Gesù, ma sempre nella notte della fede, nella speranza oltre ogni speranza, nella sofferenza offerta con amore.
Le beatitudini sono un dono di Dio. Ma questo dono di Dio implica nello stesso tempo una risposta da parte nostra, un certo impegno. Certo, noi non possiamo viverle senza lo Spirito Santo. Ma Gesù ce l’ha detto: “Anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre”. Voler essere discepoli di Gesù, voler essere suoi servi significa dire come Maria all’Annunciazione: “Avvenga di me quello che hai detto”, “Avvenga di me secondo le beatitudini”.
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli”
La beatitudine della povertà è un vero mistero, che solo lo Spirito Santo può farci comprendere…
Gesù è stato povero. Lui, il Figlio di Dio onnipotente, si è fatto conoscere a Maria come il più piccolo dei figli degli uomini, e ha voluto darci liberamente, volontariamente, l’esempio della più grande povertà, della più grande privazione, per insegnarci a divenire quei “poveri di Dio” di cui parlava già l’Antico Testamento. Venendo sulla terra, Gesù è venuto a manifestare, a compiere questa povertà molto profonda, che noi dobbiamo realizzare: la povertà di chi cerca come unico tesoro l’intimità con il suo Dio, i legami d’amore con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Chiunque si appoggi sulle ricchezze che ha dalla natura, dalla famiglia, dalla cultura o dal rango sociale, non è il povero di Gesù. Nel Vangelo Gesù insiste molto sulla povertà. Ci mostra che essa significa prima di tutto distacco dal denaro, dall’agiatezza, dalle ricchezze materiali, da tutto ciò che è artificiale e che può assumere tanta importanza nel nostro mondo attuale. Questo distacco implica già molti sforzi. Il denaro è legato a un ingranaggio dannoso e sottile. Più si possiede e più si vuole possedere. Il denaro attira molto perché dà l’impressione che, con esso, si può comprare quasi tutto. Ecco perché si è a volte più attaccati al denaro che ad ogni altra cosa: ci dà un senso di potenza, di sicurezza.
Ma non c’è solo il denaro. L’immaginazione e la memoria possono essere una ricchezza terribile! In realtà, “ricchezza” è tutto ciò che ingombra il nostro cuore e gli impedisce di essere disponibile nei confronti di Dio. Il vero povero è colui che, battezzato nello Spirito Santo, ha scoperto che lo Spirito Santo vuole prendere in lui tutto lo spazio. Ma lo Spirito Santo è “il dono di Dio”, non può mai essere nostra proprietà.
Non possiamo mai dire: “Ora io lo possiedo”. Anche l’amore vero non è mai un amore “proprio”: non è nostra proprietà. Dio solo è amore, ed è il grande mistero di Dio.
Ora, il nostro io cerca sempre di possedere qualcosa; nonostante il nostro desiderio di seguire Gesù e di dare tutto, noi tendiamo sempre a mantenere per noi un certo dominio… Ciò è molto sorprendente nella vita religiosa: sono rari i veri discepoli di Gesù che diano veramente tutto, senza riservarsi assolutamente nulla, nemmeno qualche piccolo momento libero! Uno si preoccupa eccessivamente per la sua famiglia, un altro si lascia assorbire troppo dai suoi studi, un altro ancora si riserva una qualche immagine a cui tiene molto. Ma, sopra ogni cosa, ognuno tiene al proprio “io”: le sue idee, il suo modo di vedere. E la ricchezza a cui noi rischiamo di tenere di più, è il nostro peccato e la nostra miseria, perché in ciò consiste la nostra sola vera proprietà! Per questo la povertà che Gesù ci chiede prima di ogni altra, è quella dell’essere staccati dai nostri peccati. È la povertà più difficile! Troppo spesso noi restiamo con i nostri peccati o con la nostra sofferenza, il nostro fardello, senza credere con abbastanza fiducia che Gesù può liberarcene totalmente.
Perché il cuore possa lasciarsi occupare pienamente dallo Spirito Santo bisogna che sia del tutto povero, sgombro, disponibile, aperto. La minima ricchezza si oppone alla libertà del cuore. Certe ricchezze non si oppongono alla ragione o allo spirito, ma per avere un cuore del tutto libero, occorre questa povertà radicale.
È l’immagine che dà san Giovanni della Croce: non è necessario che la piccola colomba sia tenuta chiusa in gabbia da un grosso filo, basta un filo sottile per impedirle di volare via. Ora si fabbricano dei fili quasi invisibili, ma molto solidi! E chi ha il minimo vincolo, anche impercettibile, non può aprirsi interamente al regno dei cieli.
Questa povertà giunge dunque molto lontano. È un dono di Dio, e bisogna chiederlo continuamente. Bisogna supplicare lo Spirito Santo che ci conceda di essere i suoi poveri. Quando non sappiamo che cosa chiedere nella nostra preghiera, chiediamo di essere poveri! Ogni volta che sentiamo il rischio di rimanere attaccati a questo o a quello, chiediamo a Dio dolcemente, pazientemente, di staccarcene. E quando siamo in contatto con i poveri, materialmente, economicamente poveri, rendiamo grazie: possiamo imparare molto da loro nella misura in cui essi sono molto più poveri di noi. “I poveri sono i nostri maestri”, diceva san Vincenzo de Paoli. Grazie a loro noi scopriamo che il regno dei cieli appartiene ai poveri, perché ricevono quasi naturalmente la Buona Novella, almeno se hanno anche un animo da poveri. Spesso è attraverso i più piccoli, i più deboli, che raggiungiamo la persona di Gesù. Così bisogna capire bene che non si è beati perché si è poveri, ma perché “di noi è il regno dei cieli”.
Alcuni fanno della loro povertà la loro ricchezza, il loro tesoro… Ricordiamoci ciò che dice san Paolo: “Se anche distribuissi tutte le mie sostanze… ma non avessi la carità, niente mi giova”. È l’amore di Dio che è questo regno nel cuore del povero, nel cuore di chi procede nell’amore di Dio e, grazie a ciò, diventa sempre più piccolo e povero.
“Beati i miti, perché erediteranno la terra”
La povertà non è che il punto di partenza delle beatitudini. Essa è in una relazione molto particolare con la fede: è la beatitudine dei cuori puri che ricevono il dono di Dio. La beatitudine della mitezza, invece, è in rapporto immediato con la speranza. Si è miti dopo aver accettato una certa debolezza, quando si ha in cuore una grande speranza, benché se ne percepiscano i limiti, l’impotenza, la fragilità. La speranza suppone che abbiamo fatto esperienza della nostra debolezza: noi abbiamo constatato di non poter farcela da soli, accettiamo perciò più profondamente Gesù come nostro Salvatore. Ecco che cosa provoca la mitezza nel profondo del nostro cuore. La mitezza è una predisposizione e, insieme, un frutto della speranza.
La beatitudine della povertà si oppone al nostro io egoista, la beatitudine della mitezza si oppone al nostro io dominatore. Non basta essere staccati dal denaro e dalle ricchezze. Bisogna staccarsi anche dalla volontà personale, dal desiderio – a volte molto sottile – di dominare, di comandare, di avere un potere, di imporsi.
La mitezza si deve esercitare a tutte le età. Guardate un bambino che comincia a camminare, come ama affermarsi! In effetti è l’età in cui l’indipendenza si sviluppa in noi, con l’immaginazione e la memoria, ed è in quel momento che appare l’aggressività. La mitezza è un dono di Dio. Nessuno è mite per natura. O si è molli, deboli, senza consistenza, o si è duri, rigidi e violenti. L’aggressività esiste in ciascuno di noi, e, se non abbiamo ricevuto il dono della speranza, finché il nostro “io” non è stato spezzato, è l’aspetto aggressivo che domina in noi quando Gesù non c’è, quando lo Spirito Santo ci lascia un po’ alla nostra vitalità naturale. Per noi, in questa fine del XX secolo, nei nostri paesi occidentali, tutto contribuisce a sviluppare questa aggressività. Il mondo attuale è un mondo terribilmente aggressivo. L’aggressività assume molte forme: si traduce nella violenza, ma anche nella depressione. Come sosteneva già san Tommaso d’Aquino, la paura è legata all’aggressività. Il vero mite non ha paura. La paura e l’aggressività ci spingono alla ribellione, alla violenza, alla guerra.
Questa beatitudine è di capitale importanza nell’età dell’adolescenza. Non per nulla il sacramento della cresima, ricevuto agli albori dell’adolescenza, comporta l’unzione con l’olio santo. Più ancora che della forza dell’atleta, l’olio è simbolo di questa mitezza tanto necessaria al giovane perché non si lasci pervadere dalla contestazione, dalla ribellione, dalla depressione o dall’angoscia.
La mitezza è del tutto indispensabile anche nell’età adulta, per vivere bene le proprie responsabilità. Più Dio ci dà responsabilità e più ci chiede di metterci a servizio degli altri, più abbiamo bisogno di mitezza. Si tratta di essere servitori e non padroni, e servitori umili, che si sentono inutili, cioè molto staccati dai servizi che rendono.
Tanto più si deve esercitare la beatitudine della mitezza al tempo della vecchiaia. Con l’età, con la stanchezza si hanno molte più tentazioni di impazienza.
Tante sono le cose che infastidiscono, per questo la mitezza del vecchio è così bella! È un certo atteggiamento in cui egli sa di restare passivo, ma in modo da continuare ad amare, ad avere un certo contegno, un certo sforzo. È il contrario del lasciarsi andare, della routine.
Chiediamo questa grazia della mitezza, sapendo che, se siamo deboli, se la nostra salute è delicata, ciò può essere una beatitudine, qualora ne approfittiamo per appoggiarci a Gesù. I miti si oppongono ai forti, ai duri, alle persone rigidamente severe, prive di “elasticità“. La mitezza ci preserva dall’esaltazione come dalla depressione, è una via media e divina che ci avvolge dall’interno e che solo lo Spirito Santo può insegnarci.
Una delle frasi più straordinarie pronunciate da Gesù riguarda questa beatitudine: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Gesù non ha detto: “Imparate da me che sono povero” o “che sono misericordioso”, ma “che sono mite e umile di cuore”. Voleva farci capire che noi non possiamo vivere questa beatitudine solo con le nostre forze, ma ricevendola da lui.
Comprendiamo, allora, la seconda parte di questa beatitudine: “perché erediteranno la terra”. La terra è prima di tutto questa piccola terra che è la nostra persona, quando lo Spirito Santo è riuscito a penetrarla e se ne è impossessato completamente. La terra è anche il Santissimo Corpo di Gesù: la Terra Promessa. E il miglior mezzo per vivere questa beatitudine della mitezza, è, infine, il saper adorare Gesù Eucaristia accogliendolo nel nostro cuore. L’Eucaristia è il sacramento che ci dà la presenza di Gesù e ci procura, in aggiunta, la mitezza.
San Francesco di Sales, il grande sapiente della mitezza, indica che essa implica tre gradi: mitezza nei confronti di Dio, che consiste nel lasciarsi completamente assorbire da lui; e, dopo che Dio ci ha comunicato la sua mitezza, dapprima mitezza nei confronti di noi stessi, poi mitezza nei confronti degli altri. E san Francesco di Sales aggiunge: “Si prendono più mosche con il miele che non con l’aceto”. È così che i miti “erediteranno la terra”.
“Beati gli afflitti, perché saranno consolati”
Le prime tre beatitudini riflettono lo spirito nuovo che lo Spirito Santo vuole darci e che si oppone al nostro “io”. Noi tutti abbiamo un io, e, quando crediamo di non averlo, è perché è molto nascosto, ma se non gli si insegna a fare dei sacrifici, se, quando si mette a piangere, gli diamo una caramella perché rimanga tranquillo, esso diventa presto un bambino viziato, che avrà sempre bisogno di piccole consolazioni immediate…
A volte noi continuiamo ad essere questo bambino viziato per tutta la nostra vita! Ci sono degli adolescenti, degli adulti, che mancano di maturità perché non accettano nessuna sofferenza, nessun obbligo. E quanti vecchi sono veri e propri bambini viziati!
La beatitudine delle lacrime aggiunge qualcosa alla mitezza e alla povertà. Se non ci fosse da lottare, se non ci fosse nessuna contraddizione nella vita, allora si potrebbe essere poveri, miti senza essere afflitti.
Ma Gesù ha parlato della beatitudine delle lacrime, perché noi tutti abbiamo bisogno che il nostro io e il nostro spirito siano spezzati. La sofferenza e le lacrime ci spogliano della nostra personalità, delle nostre idee, dei nostri modi di vedere, di sentire e di reagire, di tutto questo mondo interiore molto tenue che è in noi. Un cuore non può essere purificato se non è stato messo alla prova da Dio stesso mediante la sofferenza e le lacrime. Altrimenti non potremo giungere al suo cuore trafitto.
Ma, come per la povertà, bisogna fare attenzione alla seconda parte della beatitudine: l’afflizione ci porta alla consolazione; ecco perché può essere un segno e un mezzo attraverso il quale lo Spirito Santo si offre a noi.
Questa afflizione può essere interiore, ma può portare a volte alle lacrime. Non è un male piangere. Non bisogna trattenersi dal piangere. Il più delle volte le lacrime ci danno un sollievo. Alleggeriscono il nostro cuore, in qualche modo lo inteneriscono. È uno dei misteri del cuore: il cuore è molto più legato al corpo di quanto lo siano lo spirito o la ragione. Se il cuore non piange mai, rischia di indurirsi. Già nell’Antico Testamento Dio promette di togliere il nostro cuore di pietra per darcene uno di carne (Ez 36,26). Nonostante ciò, soprattutto non bisogna guardare a se stessi in quel momento, ripiegarsi sulle proprie lacrime, ma bisogna lasciarle scorrere, senza volerle accrescere in qualche modo con la nostra immaginazione o la nostra memoria. Le lacrime possono essere un inizio di beatitudine, ma a condizione che ci facciano rivolgere verso lo Spirito Santo come il Consolatore: non è questo un bellissimo nome dello Spirito Santo?
La beatitudine delle lacrime ci impedisce di compiangerci nei nostri pianti, nella nostra tristezza, in quanto potrebbe esserci di morboso nella nostra sofferenza. Essa ci dà un atteggiamento di abbandono grandissimo, di fiducia grandissima, ma nello stesso tempo di ritegno, per lasciare che lo Spirito Santo sia il nostro solo vero consolatore. Fa tanto bene, quando ci si sente molto soli, invocare nella preghiera il Consolatore! In quei momenti lo Spirito Santo sa offrirsi moltissimo. Ed è una grande grazia, mentre ancora piangiamo, poter invocare il Consolatore, sapere che solo lo Spirito Santo può consolarci, sapere che ci sono sofferenze che solo lui conosce e può consolare, in particolare le sofferenze che derivano dal nostro peccato. Non ci si deve meravigliare che più il buon Dio si offre a noi, più diventiamo sensibili, e proprio allora sentiamo di più la nostra debolezza e soffriamo di più. Ma è una beatitudine, poiché ci fa scoprire sempre di più la delicatezza dello Spirito Santo Consolatore.
“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”
La quarta beatitudine ci mostra come, in un altro modo ancora, il nostro cuore possa unirsi al Cuore di Gesù. Gesù sulla croce ha detto: “Ho sete”, ed egli vuole spingerci a seguirlo perché possiamo vivere un po’ la sua sete in noi.
Nell’essere umano, la sete è ancora più radicale della fame. E questa ne è una prova: il neonato comincia a bere fin dal primo giorno, così come chi sta per morire nei suoi ultimi istanti ha sete. La sete, come la fame, è un segno molto profondo dell’aspirazione fondamentale che Dio ha posto in noi, che ci impedisce sempre di essere soddisfatti, di essere sazi. C’è, anzi, una maledizione per i sazi, e lo si comprende molto bene rifacendosi allo spirito del Magnificat: i ricchi e i sazi non possono ricevere nulla, poiché non hanno bisogno di nulla.
Chi è povero e chi ha fame, invece, si vede colmato.
Già sul piano fisico, avere fame e sete è segno di salute. Lo è ancora di più sul piano spirituale! Ma di quale fame e sete parla Gesù? Della fame e della sete di giustizia. Non della giustizia degli uomini, ma della giustizia di Dio. Questa fame e questa sete di giustizia non sono né violente né rivoluzionarie, e nemmeno legalistiche. È il desiderio profondo di rispettare la natura così come Dio, artefice amoroso, l’ha realizzata: che ogni cosa sia nell’ordine e nell’armonia voluta da Dio; è soprattutto la sete che la sua volontà sia fatta in tutto, che il suo nome sia santificato, che venga il suo regno. È il desiderio della gloria del Padre, il desiderio bruciante che ha consumato il cuore di Gesù.
Per vivere questa beatitudine non dobbiamo essere sazi e nemmeno alla ricerca soltanto di soddisfazioni immediate. Dobbiamo avere fame e sete per restare aperti interiormente. Ma non basta una certa mortificazione materiale. Bisogna lasciare ogni nostra sicurezza, per conoscere realmente questo bisogno che aveva Gesù, questo desiderio di fare la volontà del Padre. Il termine “giustizia” è molto significativo: esso suppone un compimento. Non bisogna restare dei velleitari, delle persone che si staccano dalla realtà, che si limitano al piano delle idee o delle speranze. Coloro che vivono questa beatitudine sentono che il dono di Dio, l’amore di Dio non ha ancora portato in loro tutti i suoi frutti. Hanno sete di questo compimento pieno della volontà di Dio, per loro stessi e per gli altri.
Questa beatitudine implica dunque che il nostro cuore sia forte, non di un volere di rigida volontà, ma di un volere che ha le sue radici nell’amore. Essa fa sì che ogni nostra aggressività sia avvolta in un amore più grande; essa unisce in noi, dall’interno, l’affetto profondo e l’aggressività. Solo lo Spirito Santo può realizzare pienamente questa beatitudine in noi. In un certo senso, essa richiede più delle altre questa divina esperienza dell’amore infinito, che ci fa scoprire che Dio ci ama per primo e che, amandoci, ci insegna ad amarci e ad amare gli altri in verità.
“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”
Il cuore del discepolo di Gesù deve essere povero, mite, intenerito dalle lacrime e assetato della giustizia di Dio… Ma il programma delle beatitudini non si ferma qui. Ciò che è misterioso nella nostra condizione umana è che noi dobbiamo essere staccati da tutte le nostre opere, sapendo che Dio ci giudicherà non dai successi, ma dalle intenzioni intime e – a volte – nascoste, che sono nel nostro cuore, e sapendo che, nonostante ciò, noi dobbiamo agire, fare qualcosa. Non possiamo accontentarci di restare con delle buone intenzioni.
Dobbiamo tuffarci nel campo delle azioni, con tutti i rischi che ciò comporta. Il “fare” è necessario. Essere misericordiosi ed essere operatori di pace. Ecco le due opere essenziali del cristiano.
Se noi vogliamo seguirlo, Gesù ci chiede di praticare come lui la compassione, la misericordia nei confronti dei nostri fratelli. Si tratta di dimenticarci di noi stessi per andare sempre verso chi è più povero di noi, chi è più piccolo… Allora scopriremo la misericordia di Dio verso di noi. È come per il perdono: Gesù ci insegna che, nella misura in cui noi perdoneremo i nostri fratelli, riceveremo il perdono di Dio Padre. “Con la misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi”. La misericordia è strettamente legata al perdono. La misericordia pretende che non ci si fermi alla considerazione della giustizia, ma che si veda la miseria di coloro che, in un modo o nell’altro, non sono stati – forse – del tutto giusti nei nostri confronti, che si veda immediatamente la loro sofferenza, la loro miseria. Perché le beatitudini indirizzano lo sguardo al fine ultimo e mettono in gioco le virtù teologali della fede, della speranza e della carità.
Quanto è importante la beatitudine dei misericordiosi nella vita fraterna per praticare il nuovo comandamento di Gesù! Ci sono tanti modi di praticare la misericordia: ogni volta che vediamo qualcuno che ha l’aria triste o qualcuno che è davvero in miseria, un piccolo gesto, talvolta semplicemente un sorriso, un’attenzione, dirgli buongiorno passando, non avere l’aria di disprezzarlo, anche solo questo può fargli molto bene. Ecco alcuni atti di misericordia che sono alla portata di ciascuno di noi… Talvolta vi sono alcune persone che ostentano la loro virtù. Fanno tutto molto bene, ma ci si accorge che guardano sempre se stesse e che mancano terribilmente di misericordia nei confronti degli altri. Accanto ad esse vi sono persone molto impacciate, peccatrici per di più, ma che sanno compiere umilmente questi atti di misericordia: comprendono l’altrui miseria, perché si riconoscono loro stessi miserabili… Vivono la beatitudine dei misericordiosi.
La misericordia non ha niente a che vedere con quella pietà umana che non rispetta veramente la persona del povero, del miserabile. La vera misericordia, per la sua delicatezza, per la sua tenerezza, per la sua umiltà, sa invece rendere al povero la stima dovuta alla sua persona, lo innalza e non lo abbassa.
Ma per questo bisogna che lo Spirito Santo ci ispiri l’amore di vera compassione, che viene dal cuore stesso di Gesù. Abbandonati a noi stessi, noi siamo sempre molto lontani dal vivere un vero amore! Gesù ce lo dice bene: “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?”. La vera misericordia non si lascia scoraggiare dall’atteggiamento chiuso o anche aggressivo del povero al quale essa si rivolge. Se voi sorridete ad un povero scontroso e quello non vi sorride affatto a sua volta, non importa! L’avete fatto per Gesù e non per avere una risposta… Allora, vi ricompenserà lui, il vostro Padre del cielo. Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia.
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”
Il puro di cuore è colui che ha il cuore libero, non ombroso e, soprattutto, non perverso. È un cuore non equivoco, non ambiguo. Nel puro di cuore vi è una sorta di rettitudine e, nello stesso tempo, di fiamma, di ardore. Il puro di cuore è trasparente come un bambino, ma non è ingenuo. Come tutte le beatitudini, quella dei puri di cuore è un dono di Dio. Noi non possiamo procurarcela da noi stessi e non possiamo nemmeno comprenderla senza lo Spirito Santo.
Come l’amor proprio non è amore, così un cuore “proprio”, che tiene cioè tutto per sé e se ne riserva la proprietà o il godimento, non è un cuore buono. Non è un cuore puro. Un cuore puro è come quello di Gesù, un cuore al quale Gesù insegna ad amare come lui.
Quando ci rivolgiamo a Gesù, allora Gesù ci distoglie da noi stessi e ci apre agli altri. Gesù non ci separa mai dai nostri fratelli, ma, al contrario, ci unisce a loro in modo sempre più profondo. Senza di lui, noi rimaniamo sempre, in un modo o nell’altro, ripiegati su noi stessi, e vediamo allora gli altri attraverso il nostro io. Soltanto Gesù può concederci la beatitudine della purezza di cuore, indispensabile per vedere e amare i nostri fratelli come lui li vede e li ama.
Il puro di cuore ha allora una fecondità grandissima, può avvicinare le persone più ferite, più angosciate.
Capisce le loro sofferenze, le loro angosce, senza lasciarsi travolgere da esse. L’angoscia è molto contagiosa. Per poter aiutare una persona angosciata bisogna essere giunti ad assumere la sua angoscia, non grazie alle proprie forze, ma grazie ad un amore più forte e ad una speranza più grande. Per questo, occorre essere puri di cuore, avere un cuore capace di non pensare a se stesso, anche quando è tormentato.
Una delle caratteristiche dell’angoscia è il rinchiudersi completamente in se stessi. Bisogna che Dio venga dall’interno a darci il suo amore affinché, anche se siamo angosciati, possiamo essere accanto a chi soffre. Questo è un cuore puro: un cuore staccato da se stesso, che possa così aiutare veramente i suoi fratelli.
Chi è puro di cuore è sempre pronto a darsi: ha il cuore aperto. Ma, proprio per questo, è un cuore che si lascia ferire. Un cuore pieno d’amore non è un cuore che si risparmia, che preferisce mantenere la sua tranquillità col pretesto che “il mondo e gli uomini sono crudeli”…
Il puro di cuore è capace di unirsi al cuore trafitto di Gesù, perché è obbligatoriamente ferito dalla misericordia.
Si comprende allora la seconda parte della beatitudine: quando il cuore è puro, può vedere Dio. Ci sono molte maniere di vedere Dio. Si può vedere Dio nei propri fratelli, si può vedere Dio nella pace che ci concede, si può vedere Dio nella sofferenza stessa che ci unisce al cuore trafitto di Gesù. Si può vedere Dio, infine, in ogni avvenimento, riflesso della sua volontà in ogni momento. Il cuore puro non è più oscurato dall’amor proprio, più nulla lo ostacola ormai nella pratica dell’amore, dell’amore per Dio e dell’amore per i suoi fratelli.
Ma per questo bisogna già aver vissuto tutte le altre beatitudini. Un cuore puro non è semplicemente un cuore povero, può essere puro solo se è stato completamente infiammato dal fuoco del cuore di Gesù. Ma questo presuppone la povertà di spirito e tutte le purificazioni attraverso le lacrime, le contraddizioni, la fame e la sete… Un cuore puro è un cuore che può essere aperto direttamente allo Spirito Santo. Il cuore è quanto c’è di più profondo nell’uomo, è il cuore da bambino che teniamo sempre in noi e che ci dà una dimensione interiore attraverso la quale lo Spirito Santo può sempre raggiungerci immediatamente. Ma perché lo Spirito Santo possa ispirarci, bisogna che il nostro cuore sia purificato e spogliato di tutto. Il cuore puro, nel senso del Vangelo, è il cuore in cui dimora lo Spirito Santo, così come nel cuore immacolato di Maria.
Affinché lo Spirito Santo possa dimorare in questo modo in noi poveri peccatori, dobbiamo passare prima attraverso le altre beatitudini.
“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”
Questa beatitudine completa quasi la carta spirituale che Gesù dà sulla montagna alla massa dei suoi discepoli; essa è quasi l’ultimo frutto. Per poter davvero dare la pace, bisogna avere un cuore povero, un cuore mite, bisogna sapere che cosa siano le lacrime e la consolazione dello Spirito Santo, bisogna avere fame e sete di giustizia e, nello stesso tempo, bisogna essere pieni di misericordia, bisogna infine essere puri di cuore. Non possiamo essere davvero operatori di pace se il nostro cuore non possiede prima tutto ciò: solo allora la pace che daremo sarà davvero la pace di Dio.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, dice Gesù nel suo ultimo discorso prima della sua Pasqua. E precisa: “Non come la dà il mondo”. Non è la pace del mondo, non è la tranquillità. È la pace che egli ha ottenuto per noi col sangue del suo sacrificio sulla croce. Ed è questa pace che noi siamo chiamati a diffondere.
Non dobbiamo stupirci di non sentirci naturalmente in pace, e tanto meno di non sentirci capaci di essere operatori di pace. La vera pace è un dono di Dio. È il frutto dello Spirito Santo nei nostri cuori. Ecco perché, prima di cercare di essere strumento di questa pace per gli altri, bisogna rivolgersi in modo molto semplice a Gesù, e chiedergli continuamente di pacificare il nostro animo, di mettere in tutto il nostro essere questa unità profonda, sostanziale, che farà risplendere spontaneamente la pace attorno a noi. Quando ci troviamo con i nostri fratelli e ci sentiamo un certo spirito di rivolta, cerchiamo di restare il più possibile uniti a Gesù e, se lo vuole, egli ci userà come utile strumento della sua pace, a volte senza che ce lo aspettiamo.
La pace è dunque prima di tutto interiore, bisogna capirlo bene. Non è una condizione esterna. A volte vi sono condizioni esterne di pace e di ordine che nascondono terribili ingiustizie e sofferenze. A volte vi sono ospedali psichiatrici in cui tutto è calmo, ben in ordine, in cui, tuttavia, ogni cuore è murato nell’angoscia e nell’incoerenza. Si incontrano qualche volta persone in apparenza molto tranquille, che esteriormente non lasciano trasparire nulla della loro violenza o della loro aggressività, ma che, di fatto, non comunicano per niente la pace. Invece alcune persone fanno risplendere attorno a sé la pace. All'”Arche”, noi ce ne accorgiamo stando vicino ai “piccoli” che Gesù ama tanto: tutti coloro che assistono all'”Arche” ve lo potrebbero dire, le riunioni sono molto diverse a seconda che vi partecipino o no delle persone handicappate. In un luogo, è sufficiente la presenza di un povero riconosciuto ed amato per far regnare la pace.
Si capisce quello che dice Gesù: “Gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio”. Il povero che fa risplendere attorno a sé la pace è come un sacramento di Gesù.
Ma non bisogna dimenticare che questa beatitudine richiede da parte nostra un atteggiamento “attivo”. Gesù ci chiama a fare, nel corso di una giornata, molte piccole azioni di pace… Quando siamo adirati, è troppo facile dire: “È il mio carattere, non posso fare altrimenti!”. Soprattutto nel parlare possiamo facilmente provocare la guerra, attizzare il fuoco…
Rileggiamo ciò che, a proposito della lingua, dice san Giacomo nella sua lettera (Gc 3,1-12). Bisogna davvero sforzarsi di “domarla”, come dice, perché tutte le nostre parole siano parole di pace, di benevolenza, di benedizione.
Noi possiamo essere operatori di pace per mezzo di ogni nostro atteggiamento. Tutti gli uomini di buona volontà tendono a diminuire il più possibile le ingiustizie, piccole o grandi. Noi sappiamo che, senza di ciò, la pace non si realizzerà mai. Però la vera pace esige non solo la giustizia, ma soprattutto l’amore. È per questo che gli ultimi papi, guardando il mondo con lo sguardo del Buon Pastore, invitano ad una civiltà dell’amore. Ma noi sappiamo anche che, affidandoci soltanto a mezzi umani, non potremo mai dare questa pace al mondo, perché ogni persona ha in sé una sete di infinito. Ecco perché i migliori operatori di pace coloro che pregano per i loro fratelli. Ad immagine del Figlio, intercedono per tutti e sono come dei focolari di pace e d’amore in questo mondo di violenza e di tenebre.
La beatitudine degli operatori di pace implica un aspetto pratico che riguarda noi tutti: il perdono è fonte di una pace molto profonda. Un cuore che non ha perdonato o che non ha chiesto perdono, non può essere in pace. Ogni volta che noi ci sentiamo tormentati, agitati, inquieti, facciamo subito un esame di coscienza su questo punto. Il perdono ci libera dal rancore, dalla vendetta, dalla violenza, dalla collera, da ogni inquietudine. L’uomo che si sa amato nonostante le sue debolezze, il suo peccato, vive nella pace. È il frutto sicuro del sacramento della riconciliazione. Il perdono è anche una delle maniere migliori di manifestare l’amore ai nostri fratelli; è così che possiamo essere, nel modo più facile e più sicuro, operatori di pace.
Allora, anche se soffriamo, l’amore è più forte e, seguendo Gesù, saremo “chiamati figli di Dio”.
“Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”
L’ultima beatitudine, che non dobbiamo mai dimenticare perché è quella su cui Gesù insiste di più, è la beatitudine della persecuzione. È anche l’unica cosa in più che egli ha promesso a chi vuole seguirlo del tutto.
È come una nuova consacrazione e il coronamento di tutte le beatitudini, a cui essa apporta una nuova pienezza.
Certo, noi non dobbiamo mai ricercare le lacrime e le sofferenze, le pene, gli insulti, le maldicenze e le persecuzioni per se stesse. Ma quando Dio ce le dà, dobbiamo accettarle “rallegrandoci ed esultando”, dice Gesù, vedendo in esse un certo segno del suo amore e della sua predilezione. Tutti i santi l’hanno capito, e la persecuzione, sotto ogni forma, è stata per loro un mezzo per dare un sovrappiù d’amore a Dio. Se invece non siete perseguitati, se il mondo trova che fate bene ogni cosa, se non ricevete altro che lodi, “non entrerete nel regno dei cieli”, dice chiaramente Gesù. Questo prova che voi avete lo spirito del mondo e che non vivete lo Spirito di Cristo.
Vi sono diverse forme di persecuzione. Vi sono le persecuzioni cruente, conosciute dai primi cristiani, che sono state all’origine della propagazione del Vangelo. Vi sono poi persecuzioni molto più raffinate, che colpiscono molti uomini di tutto il mondo: i persecutori hanno capito che bisognava evitare di “fare dei martiri”, allora cercano di avvilire, di annientare l’uomo nella sua dignità con ogni sorta di procedimenti, come nelle prigioni-cliniche psichiatriche di alcuni paesi… E, senza arrivare fin là, quanti uomini subiscono una vera e propria persecuzione nel loro ambiente di lavoro, o là dove vivono, “per causa di Gesù”!
Gesù stesso distingue due gradi di persecuzione. Vi sono i “perseguitati per causa della giustizia”: in ogni epoca della storia dell’umanità, i potenti di questo mondo perseguitano gli uomini integri e disinteressati che difendono i poveri, i deboli e gli oppressi. Ma, da quando Gesù è venuto a rivelarci il nostro destino di figli e figlie prediletti del Padre, vi è una persecuzione molto più profonda: vi sono i perseguitati “per causa” di Gesù, perché vogliono seguirlo nel modo più immediato e più completo. Anche in seno alle comunità cristiane si ritrova questa forma di persecuzione.
Quando non si vuole fare altro che la volontà di Dio, si incontrano necessariamente delle incomprensioni e a volte si incontra l’ostilità anche da parte di quelli che ci sono più vicini. Non bisogna meravigliarsene. Ma bisogna vedere ciò con speranza e amore.
Se il Padre nostro lo permette, è per farci crescere in santità o, detto in altro modo, è perché egli vuole farci cominciare fin da qui, su questa terra, la vita eterna, introducendoci già nel suo regno, come ha fatto per Maria dal momento dell’Annunciazione.
La beatitudine della persecuzione, più di tutte le altre insieme, ci pone in mezzo a questa immensa ed unica lotta combattuta tra Dio e Satana, tra l’Amore infinito e le forze del male. È così che bisogna considerare, in certo modo, le prove e le tentazioni che il demonio può farci subire. Il demonio è il grande persecutore degli amici di Dio, e si può dire che, più ci avviciniamo a Dio, più rischiamo, in certo senso, di essere preda del demonio. Certo, in seguito al mistero pasquale, Satana non è più signore del mondo, è stato vinto. È assolutamente incapace di ristabilire il suo dominio, ma non rinuncia alla lotta. Si è dato, per così dire, alla macchia e si accanisce con tanto più odio, menzogna e astuzia.
In questa lotta gigantesca, che si intensificherà fino al ritorno glorioso di Gesù e nella quale il mistero di iniquità si rivela ogni giorno di più, Satana è più che mai il persecutore: più si sviluppa il mistero di Gesù e della sua Chiesa, più Satana si sforza di riunire in una coalizione di menzogna e violenza tutti gli uomini che si lasciano catturare dalle seduzioni del mondo e che si fanno complici delle sue strutture ingiuste. Satana stesso cerca di infiltrarsi nei conventi, nelle comunità cristiane, per tentare di distruggere dall’interno la Chiesa di Gesù. Si è lasciato sfuggire Maria nella sua vita terrena, per la sua umiltà e per la semplicità della sua vita, e ora cerca di prendere la rivincita sui suoi figli più poveri e più deboli. Dal momento in cui noi ci doniamo, anima e corpo, a Maria, dobbiamo fare ancora più attenzione e aspettarci le più perfide persecuzioni.
Ma non dobbiamo avere paura! Non dimentichiamoci che la persecuzione è una beatitudine. Non lasciamoci mai vincere dallo scoraggiamento, dalla tristezza, dalla paura. Lasciamo che lo Spirito di Gesù allarghi il nostro cuore e che, come dice san Paolo, ci faccia sovrabbondare di gioia nella tribolazione.
La persecuzione diventa una beatitudine quando sopportiamo con dolcezza e serenità tutti gli assalti, quando nel nostro cuore abbiamo il perdono, un perdono completo, un perdono d’amore che ci fa pregare per i nostri persecutori e ce li fa amare. Certo il demonio è il nemico, e bisogna sempre considerarlo come tale. Ma di fronte a qualsiasi uomo, anche se cattivo e malvagio, dobbiamo avere l’amore e la pazienza del discepolo di Gesù che si sforza di stare saldo, di continuare a perdonare e ad amare i suoi nemici, e che cerca di condurli alla conversione vedendo quanto di buono vi è in loro, e, soprattutto, offrendo le sue sofferenze per loro. È così che il discepolo di Gesù diventa molto simile al suo Maestro.
P. THOMAS PHILIPPE, OP

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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