Epifania del Signore Meno commozione e più conversione!

Prima lettura: La gloria del Signore brilla sopra di te (Is 60, 1). Seconda lettura: Tutti i popoli sono chiamati in Gesù Cristo a partecipare alla stessa eredità (Ef 3, 2). Terza lettura: Siamo venuti dall’oriente per adorare il re (Mt 2, 1).

Prima lettura

1) Terra di passaggio, oggetto di contese, crocevia di popoli, culture, razze e lingue, la Palestina è stata invasa e occupata a turno dai faraoni egiziani e dai principi della Mesopotamia. Il desiderio di prendersi un giorno la rivincita contro questi oppressori è stato coltivato a lungo da Israele (Sal 137,8), ma la rivalsa, la ritorsione, la vendetta non entrano nei progetti di Dio. Un profeta anonimo del III secolo a.C. rivela quali sono invece i sogni di Dio. Eccoli: «Un giorno gli egiziani serviranno il Signore insieme con gli assiri. Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore dell’universo: Benedetto sia l’egiziano mio popolo, l’assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità» (Is 19,23). Un secolo prima un altro profeta aveva annunciato: il Signore condurrà tutti gli stranieri sul suo monte santo e li colmerà di gioia nella sua casa (Is 56,6). Il sogno di Dio si è realizzato quando in Giacobbe è spuntata, come il Signore aveva promesso (Nm 24,17), la stella, Cristo Signore. La sua luce dissipa le tenebre e convoca tutte le genti in un’unica famiglia. E’ questo il messaggio di speranza dell’Epifania, la festa della luce.

2) Per comprendere questa pagina, una delle più poetiche di tutta la Bibbia, sono necessarie due premesse, una storica e una geografica:

> la premessa storica: nel 587 a.C. Gerusalemme era stata ridotta a un cumulo di macerie; passano gli anni, e le speranze di un ritorno degli esuli da Babilonia si assottigliano sempre più. «La signora delle nazioni» (Lam 1,1), «il vanto di tutta la terra» (Is 62,7), ora è ridotta a schiava, vecchia e sconsolata;

> la premessa geografica: Gerusalemme è situata su un monte ai cui fianchi scorrono due valli citate anche nei Vangeli, la Geenna e il Cedron. Il mattino, quando spunta il sole, la città viene avvolta da fulgida luce, mentre tutt’attorno le valli continuano nelle tenebre della notte. In ebraico Cedron significa «oscuro». In questo contesto storico e geografico, ecco che cosa scorge il profeta. E’ l’alba e il primo raggio di sole che spunta dal monte degli Ulivi illumina la città. Par di sognare: improvvisamente, Gerusalemme, la vedova avvizzita, diviene raggiante. Il profeta si avvicina e invita la città a gettare via i segni del lutto, ad alzarsi, ad asciugarsi le lacrime perché il suo sposo, il Signore, che l’ha abbandonata a causa delle sue infedeltà, ora la vuole riprendere (w. 1.4).

Meno commozione e più conversione!

3) Fin dai primi tempi della chiesa, i magi hanno suscitato un vivo interesse nei fedeli. Sono stati uno dei temi preferiti dagli artisti paleocristiani: sui sarcofagi e nei dipinti appaiono molto più spesso della stessa scena della natività. Mancano, però, troppi dettagli: da dove venivano? quanti erano? come si chiamavano? quale mezzo di trasporto hanno usato? che cos’hanno fatto dopo essere ritornati ai loro paesi? dove sono stati sepolti? Per rispondere a queste domande sono nate molte leggende, si è scatenata la fantasia di tanti scrittori! Così, a motivo dei tre doni offerti (oro, incenso, mirra) i Magi sono diventati tre, anzi, tre re, appartenenti alle tre razze (bianca, nera, gialla: Europa, Africa, Asia). Guidati dalla stella, si erano incontrati in uno stesso punto e poi avevano percorso insieme l’ultimo tratto di cammino fino a Betlemme; si chiamavano Gaspare (il giovane imberbe e colorito), Melchiorre (il vecchio canuto dalla lunga barba), Baldassarre (l’uomo maturo con barba folta). Erano chiaramente i simboli delle tre età della vita. Le loro spoglie fecero il giro del mondo: prima a Costantinopoli, poi a Milano fino al 1162 quando furono trasferite nel duomo di Colonia in Germania. Si tratta di storie piacevoli e commoventi, ma vanno tenute accuratamente distinte dal racconto evangelico, per non compromettere il messaggio che il testo sacro vuole comunicare. Galileo docet: la Bibbia non vuole insegnare «come vanno i cieli ma come si va in cielo». Anzitutto non è detto che erano tre, erano «maghi» e non re. Dovevano appartenere alla categoria dei divinatori, degli astrologi, gente molto apprezzata nell’antichità per la saggezza, per la capacità divinatoria.

4) Riguardo alla stella, era opinione diffusa che la nascita di un grande personaggio fosse accompagnata dall’apparizione in cielo della sua stella: grande per i ricchi, piccola per i poveri, sfuocata per i deboli. L’apparire di una cometa si pensava fosse il segno dell’avvento di un nuovo imperatore. Ma davvero i magi hanno visto una cometa? Molti astronomi hanno dedicato tempo ed energie per verificare se, duemila anni fa, sia apparso nei cieli un astro particolarmente luminoso in concomitanza con la nascita di Gesù. La stella cui fa riferimento Matteo non va cercata in cielo, ma nella Bibbia, dove è narrata la curiosa storia di Balaam, un indovino, un mago dell’Oriente, proprio come quelli di cui ci parla il Vangelo di oggi; un giorno egli, senza volerlo, fa una profezia: «Una stella spunta dalla stirpe di Giacobbe, un regno, nato da Israele, si innalza… Uno di Giacobbe dominerà i suoi nemici» (Nm 24,17.19). Così parlava, circa 1200 anni prima della nascita di Gesù, Balaam, «l’uomo dall’occhio penetrante» (Nm 24,3) e da allora gli israeliti hanno cominciato ad attendere con ansia lo spuntare di questa stella che era il Messia. E’ lui la stella. Dovremo allora togliere dai nostri presepi la cometa? No! Contempliamo pure quella stella e indichiamola anche ai nostri figli, ma spieghiamo loro che la stella non è un astro del cielo, ma è Gesù, è lui la luce che illumina ogni uomo (Gv 1,9), la fulgida stella del mattino (Ap 22,16).

5) Gli insegnamenti possibili sono davvero tanti, e anche scomodi. Proviamo a evidenziarne alcuni. I Magi hanno osservato il creato, studiato la natura, scrutato il cielo (erano scienziati, astrologi, sapienti), e dalla creazione sono risaliti al Creatore, dalla stella al creatore del cosmo, dai pre-ambula fidei alla pienezza della fede. E’ un insegnamento valido anche per noi e per gli scienziati: questo nostro mondo, piccolo atomo negli spazi infiniti, non è frutto del caso ma creato e governato da Dio padre onnipotente. Dobbiamo quindi entrare nella natura con rispetto; non comportarci come cinghiali in una bigiotteria. Non comportiamoci da padroni, peggio, da predoni dell’essere, ma da pastori e custodi dell’essere. E non accontentiamoci solo della scoperta delle leggi, ma tendiamo verso la scoperta del Creatore delle stesse leggi. E la ricerca non ha mai fine! I Magi hanno visto la stella, ma questa non li ha accompagnati per sempre. Hanno dovuto rischiare. E noi? Noi, invece, pretendiamo una specie di “autostrada” a molte corsie, sicura, sempre illuminata, soprattutto ricca di indicazioni. Non accettiamo di vivere con dolorosa serenità nelle tenebre luminose della fede! Ed ora riflettiamo su alcune espressioni:

> Dov’è il re dei giudei? Ci troviamo davanti ad un brano pieno di domande, diverse ma sempre domande. Per i Magi, la domanda nasce dal desiderio di verità: è l’intellectus quaerens fidem. Per Erode, la domanda nasce dalla paura, dall’odio. E la nostra epoca, è ancora capace di domande? Siamo in attesa di qualche risposta? Forse è finita la stagione dell’acido anticlericalismo, ma siamo caduti nell’errore opposto: l’indifferenza. E allora non si è né buoni né cattivi, ma semplicemente indifferenti, rifiutati dai santi del paradiso e dai demòni dell’inferno. Arrivati a Gerusalemme, si rivolgono ai sacerdoti, ai politici, ai dotti, i quali non offrono indicazioni sicure, tranne qualche orientamento: “E’ scritto!”. E noi? Se qualche non-credente ci chiede di parlargli di Cristo, cosa gli raccontiamo? Se saremo accusati di essere cristiani, troveranno delle prove per condannarci? Che alcune pagine del Vangelo, soprattutto quelle tanto care al nostro cuore, ci producano una santa inquietudine!

> Siamo venuti dall’Oriente. Questo vuol dire che i “lontani” non sono poi così lontani, che i cattivi non sono poi così cattivi, che il “regno” di Dio è infinitamente più vasto di ogni “chiesa” di Dio. Per troppo tempo, la chiesa è stata confusa con la cultura occidentale, con l’uomo bianco, con la lingua latina, con il canto gregoriano … ma la chiesa di Cristo non può essere bianca o nera, proletaria o borghese. Quella salvezza riservata agli ebrei è ora offerta a tutti; davanti a Dio non c’è nessun popolo eletto, razza preferita: “Davvero mi rendo conto che Dio tratta tutti alla stessa maniera: egli infatti ama tutti quelli che credono in lui e vivono secondo la sua volontà, senza guardare al popolo al quale appartengono” (Atti, 10,34). Queste considerazioni non sono dettate da frustrazioni storiche o da volontà di autodenigrazione: esprimono fiducia nella paternità universale di Dio, che non può essere intrappolato dalle nostre piccole astuzie, ingessato dalle nostre teologie scientifiche, piegato dalle nostre preghiere a fare la nostra volontà. Per non avere compreso la verità dell’universale amore di Dio, abbiamo inaugurato un sistema di facili etichette e di ostracismi, bollato alcuni come estremisti e altri come reazionari; abbiamo proclamato le guerre sante delle crociate al grido di “Dio lo vuole” (?), innalzato roghi per gli eretici che andavano curati e non bruciati, eretto tribunali della Santa Inquisizione (?), composto elenchi di libri che era proibito leggere, lanciato censure, scomuniche, sospensioni, interdetti, divisioni che scandalosamente offendono l’unità, e che oggi faticosamente si cerca di ricomporre. “In quante divisioni noi cristiani portiamo la nostra responsabilità” ha detto Giovanni Paolo II, e a quante categorie di persone questo papa ha chiesto scusa e perdono! Qualcuno ha salutato questo linguaggio penitenziale come una svolta storica nella dottrina cattolica, distante ormai anni luce dall’intollerante Sillabo di Pio IX.

> Il re Erode restò turbato. Così mi piace pensare ai Magi: non come a intellettuali che il Potere ha messo a tacere con la paura o con i regali, ma come a filosofi in cerca di verità, che creano scompiglio nei palazzotti del potere. Uomini come il biblico Abramo: hanno sfidato il ridicolo della stupida maggioranza, e si sono lasciati catturare dall’avventura di Dio, con poche certezze e molti rischi. Stanchi di ruminare la sterile verità, hanno creduto all’utopia, alle stelle, ai sogni, alle voci del cosmo. Uomini come il mitico Ulisse: hanno rifiutato di entrare nel gregge della mediocrità generale. Nonostante le risate dei benpensanti, hanno scommesso su Dio, e solo alla fine del viaggio, la felice scoperta, Cristo, e sono ritornati con la luce di una stella nel cuore, per sempre.

השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti: francescogaleone@libero.it

Mattia Branco

Ho diretto, ho collaborato con periodici locali e riviste professionali. Ho condotto per nove anni uno spazio televisivo nel programma "Anja Show".

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